HARAMBEE!
C’è una parola di origine africana, swahili per la precisione, molto intrigante e affascinante, “HARAMBEE”, il cui significato indica uno sforzo collettivo, da fare insieme, per raggiungere un obiettivo comune. È il grido dei pescatori quando tirano a riva le reti, o dei passeggeri di un autobus finito nel fango, quando tutti insieme scendono a spingere per rimetterlo in pista. È la collaborazione della comunità per una causa comune. Semplificando, si potrebbe paragonare al nostro italiano: “Oh issa”.
Nella Gaudete et Exsultate, papa Francesco, riprendendo la Lumen Gentium, dice che:
«Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità». Il Signore, nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo (GE 6).
Non si diventa santi da soli! Il cammino verso la santità richiede ovviamente una adesione e un coinvolgimento personale imprescindibile, ma non è un viaggio in solitaria. Bergoglio aveva già affermato questo nella Evangelii Gaudium (https://www.laviaeaperta.it/2017/04/in-cordata/) e, più specificamente alla vita religiosa, anche nella «Lettera apostolica a tutti i consacrati»:
“Gli impegni e le fatiche solitarie non hanno futuro. Mi aspetto che cresca la comunione tra i membri dei diversi istituti. È necessario uscire con maggior coraggio dai propri confini per elaborare insieme, a livello locale e globale, progetti comuni di formazione, di evangelizzazione, di interventi sociali. Nessuno costruisce il futuro isolandosi, né solo con le proprie forze, ma riconoscendosi nella verità di una comunione che sempre si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, all’aiuto reciproco e ci preserva dalla malattia dell’autoreferenzialità” (II,3).
Non è dunque un’esortazione secondaria o superflua. Se il papa la ripete, riprendendo a sua volta quanto affermato dal Concilio più di 50 anni fa, significa che si tratta di una indicazione irrinunciabile per camminare seriamente sui sentieri della santità.
Anche la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata la sottolinea costantemente. Se la santità è la dinamica di un popolo, ossia di un gruppo, di una comunità, lo è anche degli istituti religiosi, chiamati a camminare su sentieri inediti, da cercare e percorrere insieme.
«La vita consacrata vive una stagione di esigenti passaggi e di necessità nuove. La crisi è lo stato in cui si è chiamati all’esercizio evangelico del discernimento, è l’opportunità di scegliere con sapienza» (Scrutate n. 10).
Forse non è così immediato cogliere quali siano questi «esigenti passaggi e necessità nuove», anche se è facile intuire che c’è bisogno di cambiare qualcosa e che le risposte che stiamo dando forse non intercettano più le domande di oggi. Nessuno ha in tasca la formula magica per sciogliere i nodi. Proprio per questo discernere insieme su chi siamo e dove vogliamo andare diventa un imperativo non eludibile.
Come un autobus in Africa può ritrovarsi impantanato, fuori strada e impossibilitato a proseguire il suo viaggio se tutti i passeggeri non decidono insieme di fare qualcosa per smuoverlo da quella situazione, così «la vita consacrata che sta attraversando un guado, non può restarvi in modo permanente. Siamo invitati ad operare il passaggio come kairòs che esige rinunce, chiede di lasciare ciò che si conosce e di intraprendere un percorso lungo e non facile verso terre misteriose intraviste solo nella fede» (Scrutate n. 11). Ancora lo stesso documento, al n. 12, dice che
«è indispensabile che l’esodo si compia insieme, condotto con semplicità e chiarezza da chi serve in autorità […], con coraggio e costanza, affinché la complessità e la transizione siano gestite e non sia rallentato o fermato il passo».
Queste «pennellate» fanno emergere l’urgenza di uno sforzo collettivo della Vita Consacrata, e perché no anche tra di noi, nella consapevolezza che la nostra speranza non è edificata sulle nostre forze e sui nostri numeri, ma sui doni dello Spirito: la fede, la comunione, la missione.
“Harambee” ! E’ anche per noi «la chiamata a proseguire il cammino senza lasciarsi condizionare da ciò che si lascia alle spalle» (Scrutate n. 11).
Hermosa reflexión!!! Vamos que todavía podemos!! HARAMBEE!!!!
Un bello contenido, muchas bendiciones.