Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia

In questa beatitudine colpisce, ancora una volta, la semplicità ed essenzialità di Gesù. Non si tratta di perseguire una giustizia fine a se stessa, ma di averne fame e sete, una fame e una sete che San Vincenzo Grossi spiega così: «…sono affamati di giustizia non gli accidiosi, ma quelli che cercano ogni giorno di andare avanti nel bene». In tale ottica la filantropia non funziona, anche se la giustizia va praticata nei confronti di un fratello concretamente, in risposta alle sue legittime aspettative. Mi sento interpretata, a questo riguardo, da quanto il Papa esprime  nell’Esortazione «Gaudete et exultate» al n. 79: «… si manifesta specialmente nella giustizia con gli indifesi: “Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,17)».

La giustizia evangelica non è l’adempimento di una serie di norme, non è nemmeno trattare tutti allo stesso modo, livellando e appiattendo l’unicità di ciascuno. Giustizia è dare a ciascuno il suo. Siamo unici ed irripetibili, ci accomuna, però, il  diritto ad avere garantita la dignità coma persona. Mi riferisco non solo alle tremende situazioni di violazione dei diritti umani in tante parti del mondo, ma anche là dove, pur essendo garantita la soddisfazione dei bisogni primari, non viene presa in considerazione la totalità della persona, viene cancellata l’esperienza di una vita. Giustizia vuole che in qualunque condizione della vita, favorevole o avversa, si possa fruire del bene che ci spetta, ma anche di fare in modo che l’altro fruisca di tale bene.

Sono sempre le parole di Francesco che mi vengono in aiuto: «Alcuni rinunciano a lottare per la vera giustizia e scelgono di salire sul carro del vincitore…» (GE 78). Tante volte siamo nell’impossibilità di poter intervenire concretamente in una determinata condizione per cambiarla, possiamo però, sempre, manifestare indignazione di fronte a situazioni lesive della dignità della persona, ed evitare di salire «sul carro del vincitore». Forse «la cultura dello scarto», espressione spesso usata da Papa Francesco, sta facendo breccia anche nei nostri ambienti?

Ecco che fame e sete della giustizia implicano, a mio modo di vedere, la ricerca costante e paziente della volontà di Dio per me e per gli altri, attraverso il discernimento. Acquisito come stile ed impostazione di vita esso diventa la chiave per una lettura evangelica di ciò che accade, non solo nelle grandi occasioni, ma nel quotidiano.

Viviamo in un mondo inneggiante alla libertà, all’autodeterminazione, e anche nei nostri ambienti si è insinuata questa mentalità, attribuendole in maniera superficiale il significato di «agire secondo la libertà dei figli di Dio». Senza rendercene conto arriviamo a vivere una giustizia molto individualista, cadiamo nel legalismo dell’osservanza fine a se stessa, privando la norma (che ci deve essere) dello Spirito che le dà vita, perché la legge deve servire per la vita e non per annientarla.

In sintesi: fame e sete della giustizia non per avere un tornaconto «do perché mi diano» (GE 78), non per affermare le proprie ragioni, ma per vivere la «misura alta della vita cristiana ordinaria» (NMI 31) che è la santità. San Vincenzo Grossi così si esprimeva a tale proposito: «…La loro ricompensa sarà di qua nella perfezione che loro concederà Iddio, di là con una ricompensa ineffabile».

(suor Giuseppina S.)

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