Beati i poveri di spirito
A quale categoria appartengo? Ai ricchi o ai poveri?
Come religiosa non sono ricca, perché ho fatto il voto di povertà, per cui non ho proprietà, né conto in banca, e quanto acquisisco come stipendio o pensione sono tenuta a metterlo in comune. Ma non sono nemmeno povera perché non mi manca né una casa confortevole dove abitare, né un posto a tavola dove sedermi, tanto meno che le bollette a fine mese siano pagate, e se necessario, essere provveduta di medicine e di visite mediche.
Se non posso definirmi né ricca né povera, che cosa sono dunque?
Sono tra coloro che sono al sicuro.
Non possiedo nulla, ma non mi manca niente.
Lo affermo con non poco disagio pensando soprattutto ai tempi in cui mi trovavo in missione e mi inquietava il fatto che pur in mezzo a tante privazioni rispetto all’Europa, qualunque cosa mi succedesse o di cui avessi seriamente bisogno, avevo le spalle coperte, e non perché il Signore dà il centuplo, ma perché membro di un istituto religioso italiano.
L’interrogativo iniziale per me diventa ancora più drammatico che per qualsiasi cristiano, povero o ricco che sia. Se la mia condizione è di essere al sicuro e non per scelta personale, ma per le circostanze in cui mi trovo, in che modo posso entrare nella prima delle beatitudini: beati i poveri in spirito?
Papa Francesco che come religioso forse si è trovato nello stesso dilemma di coscienza, considera la povertà di spirito anche nell’aspetto della «santa indifferenza» proposta da sant’Ignazio di Loyola. La povertà di spirito è la libertà interiore, cioè nessun attaccamento, per nessuna cosa, anche lecita (GE 69).
San Vincenzo Grossi, commentando questa Beatitudine, riconosce che esiste una povertà forzata, quella delle persone alle quali mancano effettivamente i beni o ne scarseggiano, per le quali la sola privazione temporanea produce un senso di insofferenza, o l’assillo a ottenere quanto prima ciò di cui sono prive.
Non sono questi i poveri della beatitudine, dice, ma quanti vivono le ristrettezze con pazienza e serenità; sono i ricchi col cuore distaccato dalle ricchezze, perché le mettono al servizio dei poveri, o i poveri per scelta di vita, come S. Francesco d’Assisi. E tra i poveri in spirito colloca anche gli umili, cioè quelli che agli occhi del mondo non contano, perché non «producono capitale»…
La povertà del cuore non è pertanto una condizione di vita ma un atteggiamento a cui si può giungere in molti modi: è un’esistenza austera e spoglia, è la condivisione con le persone bisognose, di pane come di considerazione (GE70).
(suor Caterina M.)