Gratitudine e sovrabbondanza

Don Vincenzo non aveva l’animo del contadino, infatti la sua era una famiglia di mugnai da almeno tre generazioni. Ugualmente la campagna esercitava su di lui un fascino importante.

Si incantava a osservare i contadini quando potavano le viti: gli sembrava sempre troppo quello che tagliavano e poco quello che lasciavano; ma lo rassicurava il fatto che da lì a qualche mese i filari sarebbero stati abbondantemente ricoperti di pampini.

E a quanti seminavano chi dava il ritmo e il coordinamento tra l’apertura delle braccia e la lunghezza del passo perché il seme venisse sparso in modo uniforme sul terreno arato?

Ma soprattutto lo attirava il miracolo del raccolto: una vera moltiplicazione!

Il terreno seminato dava sempre più di quello che aveva ricevuto.

Don Vincenzo sapeva che si trattava di una legge biologica, ma riportando questo nelle relazioni umane, riconosceva che era una virtù del cuore dell’uomo: la gratitudine.

La gratitudine umana, secondo don Vincenzo, porta il beneficato ad amare e  a ringraziare, e  in questo modo a beneficare colui che per primo gli ha dato un bene.

Era la sua esperienza.

Non era insolito per lui essere oggetto di qualche favore da parte dei suoi parrocchiani, e capiva che se tali gesti nascevano dall’affetto verso di lui, erano autentici gesti d’amore da parte loro.

L’affetto, pensava, quando si concretizza diventa amore. E genera in chi ne è oggetto lode, benevolenza e favore.

Basterebbe un po’ più di gratitudine, si diceva, per rendere migliori le relazioni umane!

E se questo atteggiamento fosse coltivato verso Dio?

Lui davvero dà sempre centuplicato quello che riceve da noi!

Quella divina è una sovrabbondanza!

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