Avere fede o vivere di fede?
Era l’interrogativo che gli stava tenendo compagnia mentre ritornava in parrocchia dopo la predicazione di una missione. Don Vincenzo percorreva la strada a piedi perché si trattava di pochi chilometri in mezzo alla campagna, che in quell’ora del tardo pomeriggio era ormai deserta. Il silenzio lo aiutava a pensare.
Aveva visto nei giorni appena trascorsi la chiesa riempirsi di fedeli accorsi per ascoltare le prediche, file di persone che si erano accostate alla confessione. E poi la partecipazione all’Eucaristia. Non poteva negare che tutti avessero la fede! Ma non era così sicuro che tutti vivessero di fede.
«Tu stesso, Vincenzo, – si disse – senza alcun dubbio hai fede, conosci le verità di fede, le annunci. Ma, – e qui si fermò un istante – vivi di fede? Ecco, ciò che cambia la parvenza dalla sostanza: la parola “vivere”», pensò tra sé.
Aveva constatato in diverse circostanze che la conoscenza e l’approfondimento delle verità di fede hanno l’effetto di una «benefica impressione» sulla mente e sul cuore umano, se uno è disposto ad accoglierle e a custodirle.
«Ma quando la fede smette di essere un atto passeggero, anche se frequente, o un paramento sacro che si indossa quando si va in chiesa a pregare, allora arriva a permeare tutta la vita, consacra la persona, e nei suoi pensieri, nelle sue parole, nei suoi affetti si “insinua” lo spirito di Gesù. La fede si impossessa della persona, la penetra, la trasforma».
Da dove gli stavano venendo questi pensieri? Qualche volta aveva avuto questa percezione ma solo adesso ne stava prendendo coscienza.
Quanto si era insinuato in lui lo spirito di Gesù?
Non era quello il momento di tirare delle somme, però sì, come voleva vivere in questo modo! E si sentì invadere da una gioia interiore del tutto particolare. Una gioia che non si dissolse nemmeno quando, entrando in canonica, la perpetua lo affrontò subito con un severo rimprovero perché non era quella l’ora di arrivare, era buio e la minestra si era raffreddata.