Mal comune mezzo gaudio?
«Dio ha seminato il ritmo e l’armonia nella creazione: ha messo la musica dentro ognuno di noi». (Helder Camara ). L’ascolto allora di una melodia rimanda ad un «Musicista invisibile» e, mentre fa vibrare le proprie corde musicali, rende capaci di intonare sulle proprie note un nuovo canto. Cosi nascono e si moltiplicano i sogni e desideri, le speranze e le certezze, i bisogni e la fiducia.
Leggo in questa luce un commento all’ultimo posto «Chiamate a camminare verso l’inedito» giunto in redazione e che pubblichiamo di seguito, Si sa, una scintilla può originarne altre… Chissà che prima o poi non ci si trovi davanti ad un fuoco!!!
«Mal comune mezzo gaudio», viene da dire dopo aver letto l’indagine dal titolo “(Come) mi vedi?”. È un andante consolatorio che aiuta a non sentirci fuori corso e potrebbe favorire, illusoriamente, l’autostima collettiva. A lungo andare però produce assuefazione alla situazione hic et nunc, come se fosse l’unica possibile, ritenendola quindi la migliore!
In questi ultimi anni in cui lo Spirito ha donato alla Chiesa universale papa Francesco, i suoi inviti quotidiani ad «uscire» sono sorprendentemente in sintonia con il motto del nostro Istituto: La via è aperta: bisogna andare.
«Bisogna andare»: non è facoltativo, né una opportunità riservata ad alcune: è intrinseco alla vocazione e missione del nostro Istituto. Andare è un verbo di movimento, come venire, anche se le direzioni verso cui portano sono diametralmente opposte.
La storia ormai centenaria di molte nostre comunità, ma anche quella delle comunità più giovani, narra di questo «va e vieni» continuo, ora con una enfasi maggiore sull’«andare», ora sul «venire» nella sua accezione di «accoglienza».
Che bello sarebbe poter onorare il centenario della morte di san Vincenzo, che stiamo celebrando con alcuni eventi, con una scelta che vada nella direzione del motto dell’Istituto “Bisogna andare” e che ci coinvolga il più possibile tutte, se pure a livelli diversi e secondo modalità adeguate!
Potrebbe trattarsi di una iniziativa che vada oltre i circuiti che già stiamo percorrendo, sia in riferimento agli spazi fisici (casa–chiesa-oratorio-scuola) sia in riferimento alle relazioni (suore-bambini e allievi delle nostre scuole, fanciulli e adolescenti della catechesi, giovani dell’oratorio).
È un modo inedito (come ci si proponeva nel post precedente) per far sì che la commemorazione del centenario della morte del nostro Fondatore non si concluda con la scadenza dell’anno, ma resti impressa nei «cuori di carne» delle singole suore e delle comunità, come nuova strada imboccata e percorsa.
La fantasia si dovrà sposare con la creatività e – perché no? – con la «temerarietà».
Non erano queste forse le caratteristiche degli antichi profeti e più ancora di quelli moderni, nostri contemporanei, primi fra essi, per noi, il nostro santo Fondatore?