Una santa… senza aureola
Tra le diverse letture che mi hanno accompagnato durante il periodo estivo, ho inserito anche la biografia di Maria Caccialanza raccontata da Mons Pedretti, un libricino dal titolo: «Una santa… senza aureola».
Tra noi suore Figlie dell’Oratorio, «la Caccialanza» è una figura carismatica, per la quale ognuna conserva una cara e viva memoria. Il libretto ci consegna una storia molto semplice perché il suo ricordo si perde nei primissimi anni di vita dell’Istituto, quando tutto era ancora informale. Fortunatamente l’autore, esperto conoscitore del contesto socio-ecclesiale del tempo, è riuscito a valorizzare ogni piccolo dettaglio delle poche e scarne testimonianze su di lei
Il libretto è accompagnato da una immagine di Maria Caccialanza, molto tardiva e pertanto più fedele alla sua identità spirituale che ai suoi lineamenti. Nei tratti che la raffigurano possiamo rileggere i racconti delle suore che l’hanno conosciuta, amata ed apprezzata.
Il suo volto è scarno, segnato da una fragilità congenita, sicuramente legata alle condizioni di povertà della sua famiglia, rimasta priva del padre troppo presto, e i cui membri furono avviati al lavoro prima del tempo. Le spalle sono curve, piegate per le lunghe ore passate al telaio o a cucire, rigorosamente a mano come si usava ai tempi. Le mani sono grosse, perchè mani di contadina, di lavoratrice, intrecciate dalla corona del rosario in un gesto che sembra quasi voler custodire il male allo stomaco che l’ha minata ancora giovane. I capelli lisci e raccolti dietro la nuca secondo la tradizione delle donne contadine, anziché mortificare la bellezza semplice del suo viso sembrano esserne la cornice migliore.
Dominano i colori scuri, il nero dell’abito e il marrone dello sfondo, ma l’osservatore è colpito ed attratto dai due punti luce: il volto e le mani.
Qui si deve concentrare lo sguardo per cogliere la personalità di Maria Caccialanza.
Una figura esile che non domina la scena anche se la riempie. Lo sguardo fisso all’interlocutore, uno sguardo che non inquieta, né lo scruta, non lo imbarazza, non lo interroga, ma al contrario lo accarezza, lo sfiora, lo abbraccia, con una serenità pacata, con una sensibilità incline alla compassione che non esclude perfino le lacrime come segno di partecipazione e di immedesimazione al dolore di chi ha di fronte. Sembra quasi che il suo ascolto sia fatto prima con gli occhi e poi con le orecchie. Il viso è disteso, né incline al riso, né alla tristezza, perchè rispecchia l’uniformità del suo umore di cui hanno parlato le suore, umore che era alimentato dalla certezza semplice e primordiale di chi crede: sapere di essere nella volontà di Dio.
Le mani stringono gli strumenti del suo apostolato: la preghiera e il sacrificio.
La corona del rosario, era la preghiera dei poveri e degli illetterati, come lei. Lo scorrere lento e silenzioso della mano sui grani della corona si riempiva di invocazioni, di intercessioni, di lode e di affidamento. Quante persone, sacerdoti, madri di famiglia, giovani spose o ragazze furono spiritualmente intrecciate in quella corona. Dove capiva che la sua parola era troppo povera per la profondità del bisogno di chi si rivolgeva a lei, Maria non aveva alcun timore ad assicurare la sua preghiera che puntualmente e generosamente compiva.
Il crocifisso al fianco evidenzia la sua reale partecipazione al mistero della Croce e alla missione di completare nel suo corpo quello che manca alla passione di Cristo.
La sua sensibilità naturale poteva esserle causa di sofferenza nelle situazioni in cui nascevano conflitti, come quando dovette prendere il posto di Sorella maggiore, sostituendo una suora ben più dotata umanamente di lei ma in contrasto con il Fondatore. La consapevolezza che la sua poca cultura prima e la sua malattia poi la limitavano nello svolgimento del suo compito di Superiora del piccolo Istituto, la portò a dare ripetutamente le dimissioni, puntualmente respinte da don Vincenzo.
La sua malattia, un cancro allo stomaco, senza possibilità di cure, vissuta nel dolore e fino allo stremo delle forze, fu il coronamento della sua vita.
La visse non come una vicenda inevitabile, ma come l’altare sul quale si offrì a Dio e si consumò come olocausto per la santificazione dei sacerdoti e l’approvazione dell’Istituto.
Maria Caccialanza è, giustamente, una santa senza aureola, ma dalla sua figura si sprigiona una luce inconfondibile frutto della comunione con Dio; è una santa senza nicchia perché nascosta come lievito nella ordinarietà di una vita cristiana vissuta all’ombra dei campanili di piccole parrocchie di campagna; è il buon seme che gettato sotto terra ha dato frutto con l’esempio della sua vita e della sua morte consegnate a Dio in semplicità.
Leggendo e rileggendo queste parole mi scorrono immagini: il granellino di senape, il lievito, la dracma, il tesoro nascosto…; parabole che il Maestro racconta per spiegare le caratteristiche del Regno… Il Regno appare, si manifesta, nella piccolezza, nella fragilità, nel nascondimento…. non attira sguardi, non è appariscente….ha una forza e una solidità che rimangono nascoste… Ripenso alla vita di questa sorella e riconosco in essa i segni del Regno di Dio… Il Regno di Dio attraversa la vita di suor Maria e lei diventa strumento del Regno, strumento di Dio….