Cristo: principio, mezzo, fine
Don Vincenzo si dedicava anche a letture cosiddette profane, per capire i cambi culturali che nonostante tutto riusciva a percepire nei suoi fedeli, in quelli istruiti ma anche in quelli analfabeti. La cultura, infatti, nel suo significato di mentalità, non è rinchiusa nei libri, si respira nell’aria, circola nelle piazze dei mercati tra i venditori e gli acquirenti, entra nelle conversazioni occasionali, viaggia sui mezzi di trasporto più comuni e popolari.
Lo preoccupava soprattutto il fatto che si stava diffondendo una tendenza al naturalismo, che lui considerava il difetto dominante del suo secolo, cioè la tendenza pratica a pensare e a ragionare prevalentemente in termini economici, di benessere, di concreto e di verificabile, e il riferimento a Dio, alla sua signoria, si stavano affievolendo o diventavano una forma di religione astratta soggetta alla percezione delle singole persone.
L’occasione propizia per affrontare questo tema gli venne nel corso di una predicazione a Casalmaggiore, con un pubblico prevalentemente istruito. Non aveva intenzione di essere prolisso perché a «buon intenditor poche parole bastano».
Si era scritto degli appunti che pensava poi di approfondire a braccio, anche perché non gli mancavano né i contenuti né l’oratoria.
- «La nostra pietà per essere vera deve essere evangelica e cristiana, cioè non deve avere altro principio che Gesù Cristo, altro mezzo che Gesù Cristo, altro fine che Gesù Cristo: “omnia et in omnibus Christus”.
- Noi siamo cristiani e non deisti.
- Il nostro Dio è Gesù Cristo, il Figlio di Maria, il Verbo incarnato, nel quale solo troviamo il Padre e lo Spirito Santo, cioè il Dio vivente, il Dio unico e vero.
- Dunque ogni giorno leggiamo e meditiamo l’Evangelo.
- Andiamo a Dio per Gesù Cristo e che ciò sia il carattere essenziale della nostra fede e pietà».
La cultura che don Vincenzo intendeva promuovere era fondamentalmente cristocentrica perché Gesù è il prototipo di ogni uomo vero.