Amabili e gradevoli, perciò contagiosi
Don Mario entrò fragorosamente nella canonica di don Vincenzo senza bussare. Il gatto sobbalzò dalla sedia e si nascose sotto la credenza con il pelo arruffato, la perpetua seduta di fianco al camino si svegliò dal suo torpore e proruppe in una esclamazione tra la giaculatoria e l’invettiva.
Don Vincenzo uscì dallo studiolo e gli andò incontro a braccia aperte. Lo aspettava e, conoscendo lo scarso cerimoniale del suo confratello, non si scompose.
Don Mario era un buon prete, zelante appassionato, ma quando si rendeva conto che a motivo del suo carattere poco raffinato trasbordava e quindi tra i suoi fedeli faceva più danni che bene, veniva a trovare don Vincenzo per raccontarsi e per ascoltarlo, ma soprattutto per lasciarsi contagiare un po’ dalla sua uniformità di carattere.
«La vera pietà è semplice ed amabile. Una persona pia non deve essere né sguaiata, né molesta», gli disse don Vincenzo dopo qualche minuto di conversazione, ma il confratello muovendosi rumorosamente sulla sedia replicò che lui non sarebbe mai stato un prete con il «collo storto». «Se il nostro zelo è tempestivo, ridicolo, senza tatto e senza giudizio, se nello zelo portiamo l’impetuosità del carattere… non è secondo Dio», aggiunse Don Vincenzo mentre gli versava un po’ di vino – quello per gli ospiti-, che la perpetua aveva portato . Invitò don Mario a berne e a dare il suo parere sulla bontà. Il prete sorseggiandolo guardava don Vincenzo e pensava: «Eh! per lui è facile essere un buon prete, essere circondato e amato dalla sua gente, non si arrabbia, non perde la pazienza, sempre uguale a se stesso». E, aggiustandosi goffamente sulla sedia, assunse un atteggiamento artificioso, quasi ricercato. No, non era necessario, gli spiegò don Vincenzo, diventare dei teatranti, perché: «Un prete con una pietà vera è libero da ogni affettazione e singolarità, non ha smanie, non urta alcuno senza necessità, deve evitare quell’esteriore forzato di austerità noiosa che allontana tutti quelli che l’avvicinano e fa dire al mondo: se tale è la pietà, noi non sappiamo che farne». Don Mario sembrò rilassarsi e sentì che poteva essere un buon prete anche senza i formalismi e il sussiego di certi canonici.
Poi don Vincenzo concluse: «Un vero apostolo nel mondo possiede la pietà amabile. Cioè una pietà gradevole, contagiosa».
Ecco era proprio l’amabilità che aveva bisogno di coltivare, di esprimere, nella liturgia e nelle relazioni.
Don Mario terminò il vino che don Vincenzo gli aveva offerto non senza ringraziarlo perché aveva scelto per lui un vino davvero «amabile».
E prima di congedarsi i due si trattennero davanti all’effigie della Madonna invocandola “Mater Amabilis, ora pro nobis peccatoribus”.
Il gatto era sempre sotto la credenza e la perpetua era andata nell’orto a prendere la verza per la minestra della cena. Don Mario, inforcata la bicicletta, passò da lei e la salutò amabilmente.