Come le corde di uno strumento…
Che cosa intendiamo per cultura? Se andiamo su Wikipedia, immediatamente troveremo questa definizione:
«Cultura è un sistema di saperi, opinioni, credenze, costumi e comportamenti che caratterizzano un gruppo umano particolare; un’eredità storica che definisce i rapporti all’interno di quel gruppo sociale e quelli con il mondo esterno».
Francesco nell’Evangelii Gaudium ci ricorda che
«il Popolo di Dio si incarna nei popoli della Terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura. Il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve» (115).
Nell’era della globalizzazione, in cui tutto corre il rischio di essere omologato e privato della sua originalità, in Evangelii Gaudium siamo invitati alla valorizzazione della diversità, al riconoscimento della bellezza e dignità di ogni cultura e ad aprirci alla conoscenza e alla rivalutazione di esse, uscendo – di nuovo – dagli schemi che vogliono ingabbiare lo Spirito Santo dentro al modello culturale europeo e occidentale come l’unico degno di essere vissuto e portato avanti:
«Non possiamo pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti, nell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia, perché la fede non può chiudersi dentro i confini della comprensione e dell’espressione di una cultura particolare. È indiscutibile che una sola cultura non esaurisce il mistero della redenzione di Cristo» (118).
Probabilmente non è un caso che queste parole siano state scritte dal primo pontefice che i cardinali in conclave «sono andati a prendere quasi alla fine del mondo», fuori dall’Europa.
Si tratta di compiere un ulteriore passo per vivere e incarnare l’universalità della Chiesa, accogliendo la diversità dei modi di vivere la stessa fede e di incarnare lo stesso Vangelo.
«Il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale […]. Esso porterà anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato. Nei diversi popoli che sperimentano il dono di Dio secondo la propria cultura, la Chiesa esprime la sua autentica cattolicità e mostra “la bellezza di questo volto pluriforme”» (116).
Assistiamo oggi a un ritorno di nazionalismi e dubbi patriottismi a difesa dei propri confini, che sono il frutto della paura del diverso, dell’incapacità di confronto con chi ha una storia e una cultura differente, del timore di essere derubati di qualcosa che ci appartiene, di una identità fragile e indebolita. Tutto ciò è in netto contrasto con l’essere “cattolico”, cioè universale, “secondo il tutto”, non secondo i propri particolarismi, dove unità e diversità si coniugano insieme e donano ricchezza. È ancora il papa, questa volta in una sua catechesi, a parlare della cattolicità usando l’immagine della chiesa come una grande orchestra in cui c’è varietà, dove ognuno porta “il suo” per arricchire gli altri, in cui la diversità non conduce al conflitto e alla contrapposizione ma all’accordo e all’armonia. Ogni strumento musicale mantiene il suo timbro inconfondibile e la peculiarità di ciascuno viene valorizzata al massimo nella sinfonia corale.
«La diversità dev’essere sempre riconciliata con l’aiuto dello Spirito Santo; solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, al tempo stesso, realizzare l’unità. Invece, quando siamo noi che pretendiamo la diversità e ci rinchiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, provochiamo la divisione e, d’altra parte, quando siamo noi che vogliamo costruire l’unità con i nostri piani umani, finiamo per imporre l’uniformità, l’omologazione. Questo non aiuta la missione della Chiesa» (131).
Nel periodo storico in cui visse san Vincenzo, ovviamente il mondo viveva una realtà completamente diversa, la globalizzazione non esisteva, lo spazio e il tempo erano più dilatati e meno compressi di oggi, gli incontri e gli scambi tra popoli e culture erano più difficili e infrequenti, più lenti e centrati sul modello europeo, imposto a tutti, anche con la violenza. Ma già allora San Vincenzo aveva intuito quanto fosse importante l’accoglienza della diversità, a partire dal proprio piccolo, nei rapporti fraterni, nelle relazioni umane abituali. Il Vangelo ci ricorda a questo proposito che «chi è fedele nel poco, lo sarà anche nel molto». Nel parlare alle suore del loro stare insieme, Vincenzo come Francesco usa l’immagine dello strumento musicale: «Gesù Cristo venne al mondo per formare degli uomini una sola famiglia. L’unione bisogna domandarla a Dio, mantenerla coltivarla. Vivete le une vicine alle altre, come le corde di uno strumento. Vivete le une nelle altre per simpatia e per unità di pensieri e di affetti».
Siamo chiamati a essere una sola famiglia, e sappiamo bene che i familiari non li scegliamo: nessuno sceglie i propri genitori o i propri fratelli e sorelle, solo si accolgono e si ricevono come dono. Non si sollevano muri e barriere contro i propri familiari e l’affetto per loro spinge ad andare oltre le diversità di vedute e di pensieri. Così possa essere anche tra i popoli e le culture, soprattutto in questo tempo in cui siamo coinvolti dalle grandi migrazioni e interpellati per dare una risposta evangelica a quanto succede a poche centinaia di chilometri da casa nostra. Solo così potremo ascoltare e realizzare l’armonia del Vangelo.
“Secondo la propria specie…” è il ritornello nel testo della creazione…..dall’inizio il libro della Genesi ci presenta la differenza, la diversità nella creazione con lo sguardo di Dio che dice e ripete “e vide che era cosa buona”. Chiediamo la grazia di questo sguardo ampio, che sa riconoscere la bontà della diversità, che sa integrare la differenza nel rispetto e nell’accoglienza sincera!
All’inizio del film “L’attimo fuggente” c’è una scena in cui l’insegnante di un gruppo di adolescenti sale sopra la cattedra di fronte ai suoi studenti. Un gesto, un atteggiamento, se vogliamo anche discutibile, forse anche diseducativo, ma lui, subito dopo averlo fatto, spiega la motivazione: “Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo guardare le cose sempre da angolazioni diverse”. Ecco, muovere il nostro punto di vista ci rende più grandi, ci arricchisce.
Spesso noi cogliamo la diversità come minaccia, la viviamo come ostacolo; accostiamo il diverso con sospetto, ansia, paura. L’altro invece, con la sua cultura diversa è una ricchezza. La cultura si accresce solo accogliendo nuove forme di cultura, solo spostando lo sguardo. L’altro è prezioso non nella misura in cui mi è uguale, ma in tutto ciò in cui è diverso da me.
San Vincenzo, che prima di noi, ha dovuto fare i conti con “il diverso” , ci doni di saper accogliere l’altro per quello che è senza volerlo “rifare” secondo i nostri criteri.