Sale e luce
Nell’Evangelii Gaudium Francesco invita i credenti a orientare il loro sguardo su quanto hanno ricevuto con i doni del Battesimo e della fede, per aiutarli a riscoprire che già hanno in sé tutto il «kit» per poter vivere la vita in modo pieno e buono alla sequela di Gesù. Il suo intento non è aggiungere qualcosa di nuovo. Ciò che gli sta a cuore è dare una scossa, risvegliare, incoraggiare la Chiesa (e quindi ciascuno di noi) a riscoprire la sua identità e la sua missione, indicandole di nuovo le sorgenti della gioia e della bellezza dell’essere cristiani.
La rivista americana Time, già nel 2013 coniò questa felice espressione: «In meno di un anno, Francesco ha fatto qualcosa di veramente significativo: non ha cambiato le parole, ha cambiato la musica».
Nel capitolo di Evangelii Gaudium in cui parla delle tentazioni degli operatori pastorali, ripete, quasi come una litania, l’espressione «Non lasciamoci rubare…»:
Non lasciamoci rubare l’entusiasmo missionario!
Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!
Non lasciamoci rubare la speranza!
Non lasciamoci rubare la comunità!
Non lasciamoci rubare il Vangelo!
Non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno!
Non lasciamoci rubare la forza missionaria!
Ecco qui l’equipaggiamento che è già in nostro possesso! Ecco tutto ciò che occorre per vivere la nostra fede e per essere sale e luce del mondo!
«La tentazione appare frequentemente sotto forma di scuse e recriminazioni, come se dovessero esserci innumerevoli condizioni perché sia possibile la gioia» (n.7).
I mali del nostro mondo – e quelli della Chiesa – non dovrebbero essere scuse per ridurre il nostro impegno e il nostro fervore. Consideriamoli come sfide per crescere (n. 84).
Gli strumenti per vivere da redenti e salvati ci sono già tutti, a noi tocca «solo» vigilare per non farceli rubare e impiegarli, investirli, farli fruttificare, non seppellirli per paura, come fece uno dei servi nella parabola dei talenti.
Tutto questo non perché dobbiamo convincere chissà chi o perché dobbiamo vendere un buon prodotto ai «lontani» ma per essere noi stessi fino in fondo, per accogliere quella novità di vita offerta dal Vangelo innanzitutto a noi, per far sbocciare l’umanità dal nostro cuore e da quello di chi incontriamo: la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione!
Chi ha incontrato Cristo fa luce, non perché più bravo degli altri, ma perché da Cristo, il Fuoco, è stato acceso. Certo, anche chi è stato «infiammato» deve combattere contro le sue ombre, che il papa identifica con una chiarezza quasi tagliente:
- l’accidia egoistica che nasce dal lasciarsi affascinare da cose che generano solamente oscurità e stanchezza interiore (83), persone non felici di quello che sono e che fanno (79), che vivono male le loro attività, senza le motivazioni adeguate, con una fatica non serena ma tesa, pesante, insoddisfatta (82).
- Il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura (85).
- Il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi, gli atteggiamenti difensivi che portano a fuggire da una relazione personale e impegnata con Dio e a ritirarsi verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei più intimi (88).
- La mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa e che consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale (93).
- Le guerre tra di noi: fa tanto male riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo. Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti? (100).
Questo nostro mondo è così povero di verità e di umanità! Così scuro e insipido! Così rabbioso e rassegnato! Ma se ti sei incontrato con l’amore di Dio, allora potrai dare sapore a chi non gusta più nulla, scaldare i cuori infreddoliti, illuminare chi brancola nel buio, perché tu per primo hai ricevuto tutto ciò! Come ha detto e fatto san Vincenzo nella sua vita: «Quando l’amore a Dio è vero, reale, non immaginario o di solo sentimento (cioè, se veramente il Fuoco dell’amore di Dio ti ha illuminato e fatto ardere il cuore), tira con sé necessariamente l’amore al prossimo, che è diffusivo, comunicativo, sente il bisogno di partecipare il bene anche agli altri. Di qui il desiderio di fare sempre e in tutti i modi, interni ed esterni, pubblici e privati, anche con sacrificio di sé e delle proprie inclinazioni, al prossimo il maggior vantaggio possibile (ovvero la luce che abita in te illumina il cuore degli altri. Non per volontarismo, ma come la candela, che pur non sapendo di fare luce, brucia, arde e si consuma)».
Troppo difficile? No, incalza Francesco, perché «è proprio a partire da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi, uomini e donne. C’è bisogno di persone di fede che, con la loro stessa vita, indichino la via verso la Terra promessa e così tengano viva la speranza» (86).
Non per niente Gesù è chiamato “Maestro”: conosceva bene le inclinazioni della nostra umanità. E … a quanto pare un po’ di psicologia l’aveva non solo studiata, ma anche sperimentata San Vincenzo Grossi. “Noi siamo molto abituati a pensare di essere stati chiamati e inviati a seminare qualcosa che ci appartiene, affidato solo a noi. (cfr “Annunciate” n. 40) Il nostro compito invece è quello di essere prima di tutto uniti “come tralci alla vite”, frequentare il Maestro e Signore per ricevere da Lui Luce e sapore. E’ Lui che semina e fa crescere! La vicinanza a Lui ci rende capaci di decentrarci e stare con gli altri, soprattutto con chi ha più bisogno, per contagiare ciò che abbiamo ricevuto. Ci aiuti in questo San Vincenzo: ” Se volete far del bene, qui dovete venire, a questo incendio d’amore” e indicava il tabernacolo.