Suor Maria Lo Gioia! Una persona, felice di poter far felici gli altri.
Ricorre oggi il quarto anniversario della morte di suor Maria Lo Gioia. Un debito di riconoscenza personale per aver vissuto diversi anni in comunità con lei e il ritrovo fortuito di una testimonianza scritta da una «giovane» (al tempo!) sull’esperienza vissuta accanto a suor Maria, mi impongono di ricordarla attraverso questo blog. Quando suor Maria è tornata alla casa del Padre, il notiziario dell’istituto ha pubblicato questa testimonianza, ma credo sia bello rileggerla, perché suor Maria è stata una figura molto luminosa nella sua semplicità e umiltà, ma soprattutto nella sua… gioia di servire il Signore nei fratelli, soprattutto nelle giovavi più svantaggiate. D’altra parte la gioia era una sua specifica missione ascritta persino nel nome (con una piccola scorrettezza grammaticale): Maria Lo Gioia.
L’ho incontrata in un momento difficile della mia giovinezza e la sua persona, prima che le sue parole, mi ha ispirato fiducia, mi ha trasmesso sicurezza.
Appartenevo a quella categoria di giovani che qualche suora definiva le «scappatelle». Definizione troppo semplice per identificarmi, perché non ero una adolescente ribelle ma una giovane un po’ matura disorientata per alcune vicissitudini contraddittorie in cui ero incappata. Per me i servizi sociali non si sarebbero mobilitati, ma le suore sì e suor Maria in particolare lo ha fatto con efficacia. La sua vicinanza, proprio in cucina dove mi avevano invitato a collaborare, è stata per me una terapia per riequilibrarmi, per recuperare l’autostima, per poter guardare «fuori», non più come a una foresta piena di lupi, ma a una strada su cui riprendere il cammino con fiducia.
In cucina, accanto a lei dove era «regina» ho visto la cura, la professionalità, la scrupolosità, l’attenzione ma soprattutto l’amore con cui preparava i pasti, con il pensiero sempre rivolto alle persone che li avrebbero consumati e non alla fatica che stava affrontando.
E mi voleva vicino perché vedessi, perché imparassi e io che ero abbastanza maldestra, a conti fatti non ho appreso tanto a cucinare ma piuttosto a fare con amore tutto quello a cui sono stata chiamata. Amore a me stessa, perché suor Maria mi diceva che quello che facevo prima doveva piacere a me, mi doveva dare gioia perché nella verdura che pulivo, nel tavolo che preparavo, dovevo mettere il meglio di me stessa.
Amore agli altri, perché questa è la vocazione di una donna: «far felici gli altri», chiunque, la giovane ospite fissa, come il Monsignore o la marchesa di passaggio.
Mi incuriosiva soprattutto il vederla spadellare sempre vestita di bianco e sempre presentabile, in ordine, sia che si trattasse di fare un giro tra i tavoli delle ospiti, sia di andare a salutare i commensali più straordinari.
Andavo con lei ogni mattina, dopo la messa, al mercatino appena dietro casa, poche bancarelle, ma molto caratteristiche e lei mi consultava su quello che prendeva, poche cose, ma che considerava il tocco finale, quello che avrebbe dato il gusto di novità al piatto di sempre.
E così giorno dopo giorno, anche se questa mia esperienza è durata solo alcuni mesi, ho appreso a fianco di suor Maria la gioia di vivere
Dormiva nel piccolo dormitorio in fondo al giardino della Casa insieme a noi e alle turiste provenienti da tutto il mondo: aveva uno spazio riservato circoscritto da una tenda che custodiva la sua privacy ma che non impediva di sentirla muoversi nel sonno.
Era curiosa, meglio voleva essere una presenza di riferimento semplice ma efficace, e alla sera si avvicinava al letto di ogni ragazza (erano 8 letti) per dare la buona notte e la cosa più simpatica era che lo faceva nella loro lingua, anche in giapponese. Il suo forte accento del sud condizionava molto la pronuncia e la comprensione, ma le ragazze sorridevano e le giapponesi si sprofondavano in ripetuti inchini per questa sua attenzione.
E quando la vedevo uscire dalla cappellina, sorridente, disponibile, mi chiedevo se anche a lei non capitava qualche volta di arrabbiarsi, di rattristarsi e quando gliel’ho chiesto, mi ha risposto che questi erano gli imprevisti del percorso, ma che non cambiavano lo scopo del suo cammino quotidiano.
Poi le nostre vite si sono separate e solo dopo molti anni ho avuto la possibilità di sentirla al telefono, anziana, con la voce affaticata, ma con parole cariche di sincero affetto e mi ha salutata dicendo: ti voglio bene! Non so se la memoria l’ha aiutata a ricordarsi di me, ma io non mi dimentico il bene che lei mi ha voluto, anche se ero una povera «scappatella».
Lidia V.
“Signore, fa che io sia del mio tempo, e non dei miei anni”. Così scriveva suor Maria Logioia nei suoi appunti durante un corso di Esercizi Spirituali. Infatti, in lei, la “passione” non è mai venuta meno, nonostante il passare degli anni. Passione a 360°: per la vita, per la vita religiosa, per le giovani, per la missione di cuoca che ha svolto per oltre 60 anni. Passione che manifestava non con l’insistenza di chi deve convincere a tutti i costi, ma con l’interesse per quanto succedeva nell’Istituto, nella comunità, nel mondo. Mai l’ho vista fare da “zavorra” di fronte a nuove opportunità o esperienze, anzi ha sempre sostenuto incoraggiando. Mente sempre aperta al nuovo, e non giudicante. Donna, Religiosa semplice, ma non sempliciotta: una semplicità fatta di essenzialità e di somma libertà. Grazie al Signore che me l’ha fatta incontrare, dandomi la possibilità di percorrere un tratto di strada insieme a lei. Grazie al blog che ci consente di fare giusta memoria di sorelle che hanno vissuto appieno il nostro Carisma.