La via è aperta: bisogna andare… La porta non è chiusa, bisogna uscire!
L’ultima espressione di San Vincenzo in punto di morte, «La via è aperta, bisogna andare», potrebbe essere interpretata alla luce del magistero del Papa come: «La porta è aperta, bisogna uscire!» .
L’Evangelii Gaudium è immediatamente successiva al Sinodo dei Vescovi del 2012 sulla nuova evangelizzazione. In quell’occasione furono messe a fuoco una serie di preoccupazioni e difficoltà che la Chiesa sta incontrando oggi e che provocano un clima di smarrimento e timore per il futuro. La paura porta inevitabilmente alla chiusura, a costruire muri per difendersi e trovare protezione da ciò che spaventa. Francesco ha colto questa sorta di blocco in cui avrebbe potuto incagliarsi la barca di Pietro. Ecco perché dall’inizio del suo pontificato, ha continuato a sollecitare la Chiesa ad uscire e a non ripiegarsi su se stessa, nella convinzione che solo uscendo e rischiando potrà essere credibile e avere qualcosa di significativo da dire.
«Un cuore missionario mai si chiude, mai si ripiega sulle proprie sicurezze, mai opta per la rigidità autodifensiva. Non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada» (n. 45).
«Ora non ci serve una “semplice amministrazione”. Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno “stato permanente di missione» (n. 25).
L’indicazione è chiara e perentoria, e le citazioni a riguardo sono innumerevoli. Il Papa vuole riportarci all’essenziale, al Vangelo «sine glossa» e ci ricorda, con le sue parole e il suo stile, che chi è stato raggiunto sul serio dalla gioia del Vangelo non tiene più la vita per sé, ne fa un dono continuo e smette di difendersi.
«La vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio. Di fatto, coloro che sfruttano di più le possibilità della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e si appassionano alla missione di comunicare la vita agli altri» (n. 10).
Pensando a San Vincenzo, possiamo cogliere in lui questo dinamismo di uscita dalla propria comodità per andare verso le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo (cf. EG 20).
Si lasciò provocare dai problemi della gente, dei suoi parrocchiani, dei giovani in particolare, che erano la «periferia esistenziale» dei suoi tempi. Davanti a quell’uomo mezzo morto che si trovava sulla strada da Gerusalemme a Gerico (Lc 10), non passa oltre. Si ferma e dona. Si dona. Vedendo i pericoli a cui la gioventù del suo tempo si trovava esposta, apre le porte del suo cuore, della sua casa e delle sue parrocchie per interessarsi ai loro bisogni e alla loro sete di vita. Sospende il giudizio nei loro confronti, li accoglie per quello che sono, indicando loro ideali grandi per aiutarli a sbocciare e a dare il meglio di sé. Le sue sono iniziative semplici e forse anche non così originali, ma che incarnano perfettamente ciò che dice Francesco un secolo dopo: «Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37)».
La santità di Vincenzo non sta nel non aver sbagliato mai o nell’aver inventato qualcosa di strabiliante, ma nell’essere stato uomo in uscita, rivolto verso l’Altro e gli altri.
Lasciamoci mettere in discussione dalle «provocazioni» di papa Francesco e di San Vincenzo, per interrogarci su quali sono i passi da fare, gli atteggiamenti da coltivare per metterci in moto e fare nostra «la scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (n. 27).
Questa è una delle frasi che piu mi piace di don Vincenzo, l’altra è “il bene va fatto bene”. Queste due pillole per me indicano in assoluto a noi cristiani quale direzione dare alle nostre scelte quotidiane. È nel quotidiano che lo Spirito ci spinge ad uscire verso gli altri e nell’aiutare e/o essere aiutati ci offre occasione per parlare anche di Dio.
Quest’anno mi è capitato di cogliere nei dialoghi con alcuni alunni una necessità nascosta di conoscere Dio. Cercano qualcosa di diverso dalla lista di divieti che hanno assorbito durante gli anni della catechesi dell’iniziazione cristiana. Cosi ho provato ha lasciargli alcuni scritti (ad esempio di Toonino Bello). Forse qualcuno non li leggerà mai,ma in altri hanno suscitato una curiosità profonda. Voi care Figlie all’oratorio avete mille risorse piu di me…SFRUTTATELE!!! Non fermatevi davanti a qualche rifiuto o battutaccia, i ragazzi di oggi hanno ancora bisogno di ideali che infiammini i cuori.
Ricordatevi che oggi come ieri, il messaggio puo passare solo se si tiesce ad instaurare una relazione personale vera. Se i ragazzi ci percepiscono solo come giudici e a noi basta, mi dispiace ma li abbiamo gia persi.
Ti chiedo scusa, Marco, se solo ora pubblico il tuo commento, ma non so perché era finito nello spam (ad opera di wordpress!!!) per cui mi sono accorta per caso della sua presenza.
“Sospende il giudizio nei loro confronti”. Mi piace questa espressione che cerca di interpretare l’atteggiamento di don Vincenzo verso i giovani. Nei loro confronti sembra che non sia stato nè un facile ottimista, nè un severo critico. Questo non significa che fosse neutro e distaccato. Tutt’altro. Sospendere il giudizio sembra voler dire per Lui, semplicemente che non giudicava le loro contraddizioni, i loro errori, le loro fughe in avanti o i loro ripiegamenti su se stessi. Sospendere il giudizio era la possibilità certa, per lui, di poter avere accesso al “mondo” dei giovani. Sì, perchè una delle paure più profonde nei giovani è il timore del giudizio degli adulti.
Ma figurati Senzaconfini è sempre un piacere interloquire con voi su temi che sento tanto vicini
Il papa spesso fa riferimento alla paralisi che può nascere dalla paura di sbagliare. A me incoraggia e consola molto l’idea che San Vincenzo non sia stato esente da sbagli e da errori nel suo rapportarsi con i giovani, ma che comunque si sia giocato e speso per loro, come è riuscito, come ha potuto, senza tirarsi indietro. I giovani non hanno bisogno di gente infallibile ma fredda, ma di persone che nei loro limiti e con i loro pregi e difetti li amino. Su questo hanno un fiuto incredibile e davanti all’amore che viene loro offerto nella verità, sono disposti a perdonare anche gli errori. Sicuramente San Vincenzo ha voluto bene ed ha amato i ragazzi del suo tempo… e anche noi oggi siamo chiamati a fare altrettanto. Compiremo degli errori? Probabilmente sì, ma lo sbaglio più grosso sarebbe rinunciare in partenza perché spaventate dalla nostra povertà.
Stamattina sul quotidiano Repubblica si trova un bel articolo su una tesi di teologia da poco discussa. La tesi parte dall’analisi dei testi di un famoso rocker italiano e tocca vari temi della religione cattolica. Il fatto, che piu mi ha colpito e piaciuto, è che l’idea è nata da un dialogo con un ragazzo delle scuole medie. Mi sembra si inserisca nel discorso di ricerca del dialogo con i giovani più volte sollecitato su questo blog. Un dialogo che deve avere come fine il far scoprire quanto la fede non ci privi di niente, anzi ci arricchisce.
Allego il link dell’articolo
http://larep.it/2mwNRq1