Abilità di leadership: il carisma di fondatore
Caratteristica innata o appresa? Modello da raggiungere o promozione della miscela segreta di caratteristiche presenti fin dalla nascita?
Vincenzo Grossi nasce e cresce in una famiglia di imprenditori con una prevalenza maschile, nella quale il padre, sia per organizzare l’azienda, sia per coordinare le forze lavoro, ha svolto un evidente e proficuo ruolo di guida e di organizzatore. Il ragazzo ha assorbito, oltre che ricevuto geneticamente, questa impostazione, e nella sua vita di sacerdote e di fondatore, ha fatto emergere le caratteristiche del leader.
Non verrà presa in considerazione una sua eventuale leadership di tipo gestionale, ma si possono individuare facilmente alcuni stili che lo hanno caratterizzato. La storia della sua vita come parroco e fondatore racconta che è stato seguito in modo spontaneo, armonico e sincero. Ha proposto una missione, che senza essere chimerica, aveva una connotazione innovativa e visionaria, si è dimostrato un efficace coach nel coordinare l’obiettivo di tale missione e le risorse dei membri del team, fu promotore di un clima partecipativo, al fine di responsabilizzare e valorizzare ogni singolo membro, battistrada senza essere inarrivabile, autoritario solo nelle emergenze.
Don Vincenzo, che non aveva il linguaggio tecnico e manageriale dei nostri tempi, per descrivere il suo approccio con le persone usò una immagine bucolica che illuminava la sua attitudine comunicativa: essere come la chioccia che raccoglie intorno a sé i pulcini. Dando indicazioni ad una suora sullo svolgimento del suo apostolato, e usando questa metafora, enfatizzò l’espressione «raccoglie intorno a sé» non in senso protezionistico, ma come modalità per acquisire la fiducia della gioventù e quindi avere l’opportunità di intervenire positivamente sulla loro formazione. Sacerdote a Regona e a Vicobellignano, in un contesto segnato dalla lotta anticlericale o dall’indifferenza, costruì prima di tutto una rete di relazioni personali, senza cedere a compromessi o accomodamenti, ma indicando nelle scelte, anche quelle riguardanti l’uso degli spazi, la direzione verso cui voleva muoversi: il bene della gioventù. La gente lo capì, lo riconobbe come guida e collaborò nell’obiettivo di trasformazione della comunità cristiana: don Vincenzo si fece un buon numero di sostenitori e di seguaci, ed anche alcuni nemici spietati.
Ma è nella fondazione dell’Istituto Figlie dell’Oratorio che poté esprime in modo più evidente la sua leadership.
Pur lavorando in collaborazione con le prime figlie spirituali al progetto di fondazione, non si affievolì in lui mai la consapevolezza di aver ricevuto da Dio il carisma e che a Lui doveva renderne conto. Nel riconoscersi il Direttore- unico titolo che accettava! – esprimeva questa missione, quella cioè di scoprire e di indicare con lucidità la meta, gli obiettivi. Le suore, almeno la maggior parte, riconoscevano questo ruolo e, in un clima di fiducia reciproca, lo consultavano frequentemente oltre che familiarmente. Se si considera che dagli inizi fino alla istituzionalizzazione avvenuta con la celebrazione del primo capitolo generale nel 1914, erano passati quasi quarant’anni, come afferma il Decreto di Lode del 1915, e che solo in quella occasione fu redatta una Regola dettagliata, comune ad ogni comunità, non si può non attribuire a don Vincenzo un ruolo efficace e autorevole di leadership per mantenere fede alla intuizione primitiva. Il tempo e i segni dei tempi portarono inevitabilmente e provvidenzialmente ad «approfondire e a comprendere meglio l’intuizione originaria» e lui fu il garante di questo processo di discernimento, incoraggiando le suore a collaborare in questa direzione e coinvolgendole nelle decisioni. La sua fu una leadership autorevole ed efficace. Il mandato dello Spirito ad essere il fondatore illuminava, purificava ed elevava le sue capacità naturali.