I Santi nascono per non morire

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7 novembre, dies natalis di San Vincenzo Grossi

Fin dai primi secoli del Cristianesimo il giorno della morte dei Santi è chiamato «dies natalis», perché celebra la «nascita» alla gloria di coloro che la Chiesa considera come i «viventi» o  i fratelli gloriosi nella fede. Il Cardinale Anastasio Ballestrero affermò che «i Santi nascono per non morire».

Oggi, 7 novembre, dies natalis di san Vincenzo Grossi, vogliamo rivivere, attraverso le testimonianze, il suo transito. Ci piace farlo perché proprio il dies natalis è stato il riassunto o la cartina tornasole della verità semplice ma straordinaria della vita di san Vincenzo, così che oggi ancora si irradia fino a noi illuminata dalla luce della beatitudine in cui è entrato.

Ripercorriamo i pochi giorni che hanno preceduto l’incontro faccia a faccia con il Signore come fossero una liturgia, semplice, essenziale ma carica di significati umani e spirituali.

La sofferenza, ma soprattutto la pazienza e l’accettazione con cui li ha vissuti insieme alla consapevolezza di quanto gli stava accadendo sono stati i fili preziosi che ne hanno intessuto le ore.

«Verso la fine di ottobre, nonostante  fosse debole di salute, don Vincenzo volle andare a Lodi», racconta suo nipote don Ubaldo, che riuscì a trattenerlo alcuni giorni, ma non a distoglierlo dal suo proposito. Arrivato a Lodi  «avvertì dolori fortissimi nell’addome che tenne nascosti». Se le suore avessero percepito la gravità dell’indisposizione, sicuramente lo avrebbero trattenuto per prendersi cura di lui, «ma don Vincenzo decise di partire subito per ritornare nella sua parrocchia». La considerava l’altare sul quale consumare la sua oblazione, il cenacolo in cui spezzare e consegnare la sua vita fino all’ultima briciola a favore dei suoi fedeli. «Giunto a casa si mise subito a letto e fu visitato dal medico di famiglia, il quale disse che era grave. La sua malattia non fu ben definita, forse si trattò di paralisi intestinale, forse di peritonite». Il male fu per lui un autentico carro di fuoco che lo rapì come in un turbine e lo portò in Cielo «perché la malattia durò pochi giorni».

«Manifestava  con serenità la coscienza di essere alla fine della vita alla stessa domestica» e volentieri lasciava che le suore e i suoi parrocchiani venissero a visitarlo:  le poche parole che aveva per loro erano di fede e  di conforto. Suor Maddalena Iacchetti, «venuta a Vicobellignano per aiutare la perpetua nella cura del malato, vedendolo tanto sofferente, non riuscì a trattenere il pianto, ma Don Vincenzo la incoraggiò dicendo: Non piangere per me, avete il Signore che vi aiuterà”».

Accusava dolori «ineffabili», espressione che usava per definirne l’intensità, «ma era abbandonato e paziente senza mai lamentarsi».

Da Lodi accorsero le suore e sono loro stesse a raccontare della sua premura per gli altri perché «prima di intrattenerci con lui per parlare delle questioni dell’Istituto, volle che prendessimo, perché digiune e stanche, qualche ristoro». I dolori che lo opprimevano crescevano di intensità, ma «viveva consegnato nelle mani di Dio e aspettava l’ora del transito». La mattina del giorno, che fu l’ultimo della sua vita terrena, «un gruppo di fedeli accompagnò il sacerdote che gli portò la comunione per viatico». Don Vincenzo, fedele tra i fedeli anziché ministro dell’Eucaristia, divenuto un tutt’uno con la sua comunità, accolse la loro partecipazione come una manifestazione di affetto e di vicinanza spirituale: la comunione costruita giorno dopo giorno con la sua gente ora lo sosteneva nella fatica della sofferenza.

Chiese l’Unzione dei Malati solo quando  «era  il momento giusto», cioè dopo «essersi raccolto  in se stesso come in breve meditazione. La santa Unzione gli aprì la via: lui doveva andare perché la  sua anima era bramosa di incontrare il Signore. Perfettamente lucido, spirò serenamente alle  h. 23.45 del 7 novembre».

«Il suo viso divenne sereno e tranquillo, come dormisse un placido sonno: finalmente liberato dal dolore fisico, rifletteva nuovamente la sua personalità»: la robustezza del carattere, l’imperturbabilità e la posatezza, la serenità di chi si sa amato da sempre, senza condizioni.

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