La valigetta e il crocifisso di don Vincenzo raccontano…
Adesso sono chiusa in una vetrinetta, esposta agli sguardi dei devoti di san Vincenzo Grossi, ma di strada ne ho fatta anch’io e tanta!
Sono stata fedele compagna dei viaggi missionari del mio proprietario, per più di quarant’anni! Stretta nella morsa delle sue mani che mi sembravano troppo ruvide per essere quelle di un sacerdote, mi coprivo di polvere o mi inzuppavo di pioggia per i lunghi tratti a piedi in cui lo accompagnavo. Ho viaggiato anche sui treni, sui tranvai e sui calessi, in mezzo a cesti di verdura che venivano portati ai mercati cittadini, o a fagotti di indumenti di chi andava all’estero, o tra sacchi di granaglie. Nessun riguardo per me, perché non lo meritavo, ma soprattutto perché il mio padrone si mischiava volentieri con la gente povera ed umile. I viaggi più lunghi che ho affrontato avevano come meta Genova e i più frequenti al di là del Po.
Il mio contenuto era sempre lo stesso: il breviario, qualche documento, gli immancabili appunti per la predicazione e, se rimanevamo fuori sede per qualche giorno, la perpetua di turno vi «infrugnava» dentro, letteralmente, alcuni indumenti. Immancabile il crocifisso da missionario.
Per tutta la durata delle missioni o della predicazione io rimanevo nella povera stanzetta che assegnavano a don Vincenzo come camera da letto, mentre il crocifisso, suo inseparabile compagno, lo accompagnava ovunque e ha molti più argomenti di me!
Sono diventato proprietà di don Vincenzo quando ha incominciato a predicare con regolarità le missioni. Facevo parte di uno stock di crocifissi che venivano consegnati ai missionari in partenza per l’Africa o l‘Asia, per intenderci di quelli da appendere al collo o da infilare nella fascia in vita per chi aveva l’abito religioso, insomma un crocifisso importante come si direbbe oggi. Quando eravamo in trasferta non si separava mai da me, ero il suo lasciapassare, il cartellino che lo identificava non tanto come don Vincenzo ma come missionario.
E a quanti incontrava per strada o nelle case, al «Riverisco!» d’obbligo, saluto riservato ai sacerdoti, mi mostrava per un bacio, una invocazione, una carezza, e si congedava dalle persone tracciando su di esse una larga benedizione. Quante mani di malati e di morenti mi hanno stretto! Per non parlare delle madri che mi stringevano al petto pensando ai mariti o ai figli, lontani da casa per lavoro, o lontani dalla comunione familiare che nella fede in Gesù aveva il suo collante.
Il protagonista di ogni incontro non era don Vincenzo, ma Gesù, il Crocifisso, con il suo messaggio di misericordia e il suo invito alla conversione. Il prete era sempre in secondo piano, in fedeltà e in semplicità.