I fondamenti del mio ministero sacerdotale (2)
Un altro aspetto che ho considerato fondamentale nel mio sacerdozio è lo Spirito di penitenza come sensibilità spirituale alla riparazione. Sono convinto che il sacerdote ha il compito di supplire ai doveri che i fedeli devono rendere a Dio e che invece per la loro distrazione Dio non riceve. La riparazione non come un atto di pietà particolare quanto invece come un dovere legato alla dignità sacerdotale, una obbligazione inerente al mio ministero. I preti devono fare sulla terra tutto ciò che Cristo fa in cielo, assumere i connotati di Cristo nel ministero e nella esistenza. Quando consacro l’ostia, infatti, sento di essere implicato nel mistero che si compie. Non posso rimanere estraneo a quello che sta avvenendo sull’altare, avverto la necessità di lasciarmi coinvolgere nel sacrificio e nella immolazione che in quel momento dichiaro con le parole. Il segreto del mio sacerdozio è racchiuso in questo, in questo unirmi al sacrificio di Cristo: in esso è inscritto il mio codice genetico e la mia paternità spirituale vi trova la sorgente.
Sono sempre stato considerato un parroco di campagna, ancora di più da quando sono stato trasferito nella bassa, alla «periferia» della Diocesi, frontiera con terre scristianizzate. Ho sentito nella mia anima la tentazione e il rischio di rinchiudermi nel mio piccolo, di prendermi cura solo del gregge affidatomi. Ma ho ricevuto la grazia di respirare in grande. Non mi sentivo «sprecato» a Regona, né a Vicobellignano, ma i miei confini spirituali e apostolici non coincidevano con quelli delle parrocchie. Mi era stato trasmesso un forte senso ecclesiale che non si esauriva nella sottomissione alla gerarchia ma si esprimeva nella attenzione a tutta la Chiesa e ai suoi bisogni, dal Papa, per il quale i tempi erano davvero ostili, alle parrocchie, dove i parroci erano stati eletti dal popolo, dalla gioventù abbandonata nei quartieri di città come nelle campagne, a quanti per inganno o ribellione avevano abbracciato un’altra confessione. Nulla di quello che apparteneva alla Chiesa mi trovava estraneo o indifferente. Infatti le grazie che Dio mi elargiva non le consideravo finalizzate alla sola mia santificazione, ma a favore di tutto il popolo di Dio.
Ho cercato di vivere il mio sacerdozio come il servo che ha investito e cercato di mettere a frutto quanto aveva ricevuto dal padrone. Dio con me è stato generoso e io ho cercato di non considerare questa sua generosità come un privilegio ma come una responsabilità. Nessun servo del vangelo ha preso il posto del padrone, nemmeno i «servi buoni e fedeli».
San Vincenzo un prete della “periferia” con uno sguardo ampio e un cuore capace di “com-patire” con l’altro, un prete che non ha avuto paura di farsi pane spezzato per tutti! Ci doni la grazia di saper spendere la vita con dedizione incondizionata!