Sul carretto del mulino
Mio padre scelse il lavoro al mulino adatto alle forze di un ragazzo undicenne come ero io all’inizio e, senza che fosse troppo palese, che mi consentisse di frequentare la canonica per le lezioni di latino e greco. In ogni modo esigeva da me impegno e responsabilità. In fondo voleva fare di me un uomo e se poi fossi diventato prete, come gli avevo chiesto, egli era convinto che sarebbe stato un presupposto ancora più necessario per esserlo. Da parte mia non ribattei in nessuna occasione la decisione di mio padre, perché al tempo non era consentito discutere le scelte dei genitori, ma dentro di me presi una risoluzione che sentivo come scolpita sulla roccia: «Sarò sacerdote a tutti i costi!»
Furono anni di vera e propria disciplina del lavoro, a cui mio padre mi avviò con mano ferma. Mi spingeva al mattino presto giù dal letto e non mi consentiva di girovagare con gli amici nei pomeriggi estivi lungo le rive dell’Adda in cerca di un po’ di fresco, o a indugiare d’inverno davanti al camino acceso della cucina. Insieme alla fatica ho sperimentato la responsabilità, perché mio padre mi aveva affidato il compito di andare col carretto nelle cascine a ritirare i sacchi di frumento da macinare e a riconsegnare i sacchi di farina. Ogni giorno ricevevo gli ordini e io cercavo di compierli non solo per timore di qualche rimprovero, che cercavo di evitare, ma anche perché volevo provare me stesso. Mi dicevo: se riesco a ubbidire a mio padre, non mi costerà ubbidire al Vescovo.
Oggi mi chiedo se mi trovavo a guidare il carretto del mulino perché mio padre non voleva che anch’io diventassi prete, come mio fratello, o se era una tappa necessaria per discernere, lui ed io, quanto erano fondate le mie intenzioni. Forse si era preso del tempo per verificare se il mio desiderio ad essere sacerdote si manteneva fermo o se era stato un fuoco di paglia.
Qualcuno ha raccontato che mentre macinavo chilometri di strada polverosa sul carretto facevo dei «sogni»! In realtà dovevo essere sveglio a riconoscere i proprietari e i loro sacchi perché non era improbabile trovare qualche malintenzionato che tentasse di imbrogliarmi vedendomi solo un ragazzo.
Nel mio lavoro dovevo mettere occhi, braccia e mente. Si trattava di organizzare il carico sul carretto per bilanciare il peso, identificare i sacchi, stare attenti che non si rompessero e non andasse così perso il loro contenuto prezioso, evitare che gli scrosci di pioggia li danneggiassero e quindi coprirli al bisogno, tenere sotto controllo le bizzarrie del cavallo e maneggiare le redini per schivare le buche fangose come le carreggiate profonde in cui poteva succedere che il carretto si inchiodasse.
Anno dopo anno divenni abile nell’affrontare tutto questo e gli imprevisti inevitabili. Ero riuscito a farmi rispettare anche dai clienti che mi consideravano non il figlio del mugnaio ma il mugnaio. Seduto sul lato del carretto con le gambe a penzoloni, le redini sciolte ma in mano, avevo il tempo di pensare e… di sognare.
I miei sogni non si discostavano molto dal carico che trasportavo! Frumento e farina! E mi immaginavo, sulla scia della parabola del seminatore, non tanto come seminatore, ma come suo aiutante ad estirpare dal terreno le spine perché non soffocassero il seme, a dissodare il terreno perché i sassi non circondassero di aridità il seme caduto, e al momento del raccolto a separare il buon grano dalla zizzania. La mia mente ragionava per immagini ma il mio cuore si infiammava perché sapevo che il seme era la Parola di Dio e il campo il suo Regno. E io mi volevo dichiarare servo operoso e fedele.
La farina mi riportava all’Eucaristia, al pane che io, prete, avrei potuto consacrare e trasformare in Corpo di Cristo per saziare la fame di bene e di liberazione dal male di tutti. Tanta farina, tante ostie, tante comunioni, tanti fedeli…tanta vita divina! Ma avevo intuito che anche per me, come per i clienti del mulino, trasformare il grano in farina e poi in pane c’era un costo. Quale sarebbe stato il mio costo?
“Dio in tutte le cose….” dice sant’Ignazio……questa capacitá di poter scorgere il passo di Dio nei gesti e le cose di tutti i giorni, il rimando a qualcosa di piú, i riferimento continuo a qualcosa di piú grande….leggendo questo testo, chiedo a san Vincenzo la grazia di uno sguardo profondo sul vissuto quotidiano e l’arte di incontrare Dio in tutto e in tutti!