Il seminario
A 11 anni avevo chiesto, senza esito positivo, di andare in seminario. Ora ne avevo 19. Mio fratello Giuseppe era già sacerdote, mio padre poteva avvalersi dell’aiuto di altri miei fratelli, il parroco mi aveva detto che aveva già parlato di me con i superiori del Seminario… Insomma le condizioni per trasferirmi a Cremona, nel seminario di santa Margherita, erano tutte a mio favore.
Con un po’ di biancheria e il vestito buono della festa, partii per Cremona. Era il 4 novembre del 1864. La giornata era piovosa e fredda, e io vedevo solo la città con il suo Torrazzo che si avvicinava e questo mi riscaldava il cuore. Finalmente potevo entrare in seminario. Mi accolsero il Rettore e il direttore spirituale. C’erano altri seminaristi e avremmo ben presto fatto amicizia. Superai senza difficoltà, ma non senza timore l’esame di ammissione. I giudizi furono positivi e incoraggianti per me e per altri seminaristi che avevano fatto la scelta di fare gli studi classici privatamente per evitare le spese della pensione del seminario. La vita era organizzata con un orario abbastanza rigido: a me non pesava perché negli anni in cui ho dovuto unire lo studio al lavoro mi ero fatto le ossa. Ora non mi sembrava vero di poter dedicarmi solo allo studio. C’erano professori eccellenti, amanti della dottrina della Chiesa, rispettosi del papa e del Vescovo, ma ve n’erano anche altri che si manifestavano critici e polemici su tutto, peggio, di loro si diceva che avevano abbandonato la pratica dei sacramenti.
Dopo due anni, la guerra ci costrinse a lasciare liberi i locali del seminario per ospitare i militari e noi fummo disseminati per la città, ospiti di amici o parenti. Quando i militari se ne andarono, e tutto sembrava tornare alla normalità, scoppiò in città una epidemia di colera e nel 1867 il seminario fu adibito ad ospedale. Purtroppo lo stesso anno morì il Vescovo Novasconi, vero amico e sostenitore del Seminario. L’instabilità politica non consentì una sostituzione immediata del vescovo, per cui la diocesi fu governata dal vicario generale don Tosi. Questi era un uomo di cultura, ma antipapista e modernista. La sua influenza sulla nostra formazione fu tenuta a freno dalla grande figura morale del rettore Mons. Guindani, ma ciò non impedì a noi seminaristi di cogliere la profonda spaccatura che stava colpendo il clero cremonese.
Negli studi me la cavavo bene, infatti nelle pagelle periodiche che portavo al parroco e che facevo vedere ai miei familiari si leggeva che avevo riportato “eminenza” o “quasi eminenza” in tutte le materie e che ero di condotta “lodevolissima”. Non mi consideravo un’aquila, come si diceva di mio fratello don Giuseppe, ma lo studio mi piaceva, e lo consideravo la mia prima risposta alla chiamata di Dio ,quindi cercavo di non disertarlo. Devo riconoscere che il merito dei buoni risultati era da attribuire anche alla preparazione di base avuta dal parroco.
Gli anni del seminario furono travagliati non tanto per i disagi affrontati a causa delle due interruzioni, ma per il contesto di instabilità di cui prendevo atto mano mano che si approfondiva il contatto che le figure dei formatori e dei professori. Le mie guide spirituali le considero tuttora presbiteri di alto valore umano e spirituale: sono state capaci di aiutarmi a maturare scelte personali, e ad elaborare uno stile pastorale: sacerdote secondo il cuore di Dio, piuttosto che secondo una particolare linea di pensiero o di orientamento politico e religioso. Esercitavano la loro autorevolezza non dalla cattedra ma dallo stare vicino a noi, in mezzo a noi: più padri che professori e superiori.
Rileggendo questo articolo mi é impossibile non fare memoria di quei “padri e madri” del cammino di formazione……persone che mi hanno dato alla “luce” nella sequela e nel carisma, che mi hanno guidato e accompagnato nel cammino di consacrazione…..gratitudine, stupore e riconoscenza…..che San Vincenzo Grossi benedica e accompagni coloro che hanno la responsabilitá della formazione e dell’accompagnamento!
Signore aiutaci ad essere guide pazienti per in nostri giovani ad essere “luce” che apre alla speranza.
Tina