Insegnare a chi non sa (1)
Don Vincenzo, più che un maestro fu primariamente un padre ed un educatore. Nello sfondo di queste sue disposizioni umane e spirituali possiamo collocare e interpretare tutti i suoi interventi finalizzati all’insegnamento nel suo significato più ampio.
L’opera di misericordia «insegnare agli ignoranti» tocca prima di tutto la sfera dell’analfabetismo. Tra le popolazioni rurali delle parrocchie di don Vincenzo era piaga molto diffusa. L’intrattenere, pertanto, di sera, i ragazzi per dare loro lezioni di calcolo e di lettura o perché non avevano frequentato le scuole primarie, o perché non le avevano potute terminare, era senz’altro il suo personale contributo all’alfabetizzazione, ma con questo egli non considerava esaurito il suo obiettivo. Voleva, soprattutto, evitare che una volta divenuti adulti, i suoi ragazzi fossero condannati a un’esistenza diminuita, senza orizzonti. Avvertiva così forte questa responsabilità verso la promozione integrale dei fanciulli e degli adolescenti che i doposcuola, quasi naturalmente, presero forma anche tra le prime attività delle comunità della nuova fondazione. Le suore si riproponevano di recuperare lacune scolastiche ma soprattutto intendevano offrire contesti per promuovere la capacità di passare da un sapere le cose ad un vivere in modo diverso.Stare con pazienza vicino ai ragazzi o alle ragazze, in un certo senso era come voler dire: «Guarda, guarda qui. Qui c’è qualcosa che ti riguarda, che è importante per te».
Don Vincenzo coinvolse in questo prezioso servizio anche il suo coadiutore al quale concesse di usare i locali della canonica per la scuola serale invernale o per ripetizioni agli studenti durante le vacanze.
Consapevole che gli impegni in parrocchia, le richieste ad essere presente anche fuori, e la cura delle comunità appena fondate, gli toglievano non solo il tempo ma anche le energie per continuare la sua opera educativa, volendo estendere l’istruzione e l’educazione anche al mondo femminile, categoria maggiormente penalizzata, istituì una scuola primaria per sole fanciulle, che affidò alla guida delle suore di Maria Bambina e che lui sosteneva economicamente in toto. Erano tempi in cui le riforme del nuovo governo stavano escludendo la chiesa dal ruolo educativo verso le nuove generazioni. Lo Stato avrebbe garantito l’istruzione, ma chi si sarebbe preso cura della educazione ai valori cristiani, considerando che anche la famiglia per il cambio sociale in cui era coinvolta stava entrando in una profonda crisi?
Don Vincenzo non ebbe mai ripensamenti circa questa iniziativa, era una vera innovazione per una borgata poco significativa per la posizione geografica e per il numero di abitanti. Voleva questa scuola aperta a tutti, gratuita, oggi aggiungeremmo aconfessionale non certo per i contenuti, ma perché era frequentata anche dai figli delle famiglie protestanti.
Egli aveva di mira sempre e solo la vita, da promuovere in ogni modo.
L’ambito dell’educazione rimane uno dei pilastri fondamentali per qualsiasi società. Parlando con i ragazzi delle superiori, a scuola ed in parrocchia, si scopre come spesso essi non si sentano ascoltati ed aiutati come persone. Devo ringraziare voi Figlie dell’Oratorio per avermi insegnato a cercare di instaurare con i giovani relazioni autentiche, diventando così compagni di viaggio e non giudici.
Mi piace fare eco al commento di Marco con le parole che Papa Francesco ha rivolto proprio in questi giorni ai partecipanti al Forum globale sull’educazione svoltosi a Dubai, negli Emirati Arabi, sul tema “Una maggiore responsabilità collettiva per l’educazione pubblica”, organizzato dalla Fondazione Varkey, ente no-profit nato per migliorare gli standard educativi dei minori disagiati nel mondo. Nel video-messaggio il Papa invita i partecipanti ad essere “Artigiani di umanità, costruttori della pace e dell’incontro” per “creare una società globale sostenibile”. Particolarmente interessante un passaggio del messaggio. Il Papa afferma: “Enseñar a jugar a los chicos…”. Sì, insegnare ai bambini a giocare. “Un bambino ha il diritto di giocare e parte dell’educazione consiste nell’insegnare ai bambini a giocare, perché è nel gioco che si impara la socializzazione e la gioia di vivere”. Infine, l’auspicio del Pontefice è che “i governi si rendano conto della grandezza” del compito che hanno i docenti. E’ questo anche il nostro augurio.