Le tentazioni di… don Vincenzo (2)
«Tutto e subito»
Tutto e subito. È la tentazione che nega il tempo, la storia, la fatica di attendere, che suggerisce di saltare la vicenda umana che ci è stata affidata da Dio. È la tentazione di mettere fretta a Dio, di fargli allineare i suoi tempi ai nostri.
Don Vincenzo, quando il suo progetto era ancora tutto informale, vedeva le nuove comunità del guastallese e del reggiano diffondersi senza difficoltà, dopo che il Vescovo di Cremona, o chi per lui, gli aveva ingiunto di sciogliere l’associazione. Perché non interpretare questa espansione e la benevolenza dei vescovi locali come il segno di una conferma dall’Alto? Perché non incontrava le stesse disposizioni nel suo superiore e tra i suoi confratelli? Quando venne il tempo di dare una veste istituzionale alla nuova fondazione, presentò la domanda di approvazione al Vescovo di Cremona, Mons. Bonomelli, e nel dicembre del 1900 gli inviò una copia delle regole come gli aveva chiesto. Non riuscì, però, a tenere per sé la sfiducia che lo tormentava. «Vedremo come andrà questa faccenda», scrisse a una suora. Trascorsero due o tre settimane dall’invio dei documenti, e, non avendo ricevuto alcun cenno, don Vincenzo riscrisse alla stessa suora con un tono apertamente pessimista: «Da Cremona so ancor nulla in quanto alla Regola che colà ho spedito. Però spero poco». Da una parte il silenzio del suo Vescovo, e dall’altra l’interesse dei vescovi di Guastalla e di Reggio Emilia che pure gli avevano chiesto il testo delle Costituzioni e che si erano dimostrati molto comprensivi, fino a «manifestare il desiderio che le novizie andassero pure a studiare nelle scuole magistrali di Reggio E.», devono aver scatenato nell’animo di don Vincenzo una lotta: quale via scegliere? Quella della benevolenza che si apriva davanti a lui senza ostacoli, o quella dell’obbedienza che sembrava avere tempi lunghi ed esiti incerti? Anche ciò che, in quei frangenti, condivise nella corrispondenza, cioè che «il reggiano può essere un terreno propizio per estendersi» e che «dal guastallese non viene nulla di triste, ma tutto di meglio», oltre che essere normali considerazioni in margine ad alcune informazioni, potrebbe essere interpretato come una tentazione, quella che “qui” – a differenza che a Cremona – la sua domanda avrebbe potuto trovare una pronta accoglienza.
Nessun documento conferma la tentazione in don Vincenzo di voler ottenere quanto prima l’approvazione, ma non si può negare che i tempi lunghi di Cremona mettevano a dura prova la sua fiducia. Nel marzo successivo, don Vincenzo ritornò a far visita al suo vescovo, non sappiamo se convocato o per sollecitare l’attenzione sulla sua richiesta. Inaspettatamente incontrò nel suo superiore apertura e considerazione. Informando Ledovina Scaglioni di ogni dettaglio di questo travaglio, prima interiore, e poi burocratico, scrisse: «Mi soggiunse (il Vescovo) che ho fatto una Regola troppo vasta; che ne compili una ridotta che Egli vuole approvare…Si vede che il Cuore di Gesù Cristo ci vuol bene e che san Filippo prega per noi».
All’inizio dell’estate volendo aggiornare Ledovina Scaglioni le comunicò: «Domani manderò al nostro Vescovo il compendio della Regola; come Egli desidera. Vedremo. Intanto c’è un bisogno immenso di pregare il Signore che benedica noi e l’Istituto».
La sfiducia si era mutata in preghiera di intercessione, l’impazienza in fiducia: era giunto il momento favorevole, l’oggi di Dio. Don Vincenzo, il 20 giugno del 1901, ricevette il benestare del Vescovo di Cremona e l’approvazione diocesana.
Questo il testo:
«Abbiamo letto e con ogni diligenza esaminato lo Statuto e le Regole della nuova associazione di figliuole sotto il titolo di “Figlie dell’Oratorio ecc. ecc.” presentataci dal M. R.do D. Vincenzo Grossi, Parroco di Vicobellignano. Ci sembra che siffatta Istituzione possa tornare assai utile alla istruzione ed educazione della gioventù femminile e perciò l’approviamo e raccomandiamo ai Parrochi della Diocesi. †Geremia Vescovo»