Alloggiare i pellegrini: l’ospitalità di don Vincenzo
Don Vincenzo, già nel proposito di conoscere ad uno ad uno i fedeli della parrocchia, dove il Vescovo l’aveva inviato, li aveva accolti nella sua mente e nel suo cuore. Quando venne il giorno del suo ingresso, non si accontentò di sfiorare le persone con gli occhi, la sua parola non fu di circostanza, ma cercò di incrociarne lo sguardo e prestò ascolto alle parole semplici di quanti erano venuti per accoglierlo. Lui per primo sapeva di aver bisogno della ospitalità della gente, non solo per poter entrare nel tessuto sociale ed ecclesiale del paese, ma soprattutto nelle loro vite personali e familiari, perché era là che voleva portare il Signore e la sua Parola. Era uno scambio: da parte sua si sentiva accolto, e voleva comunicare che non intendeva escludere nessuno; per lui nulla creava differenza, né il credo professato, meno l’onestà o il suo contrario, meno ancora la pratica religiosa o l’indifferenza.
Accogliere nella canonica, a qualsiasi ora, i ragazzi e i giovani, è stata quindi la scelta più immediata che prese senza dubbi o riserve.
Non che avesse bisogno di riempire la solitudine sacerdotale, cosa che i suoi ospiti con il chiasso e la confusione tipici della loro vivacità, realizzavano anche oltre la misura necessaria, ma perché mentre erano con lui erano al sicuro.
La familiarità con cui entravano ed uscivano o si intrattenevano anche duranti i pasti o la sera fino a tardi, lo rendeva felice. Non lo era, invece, la domestica, che non perdeva occasione per contraddire don Vincenzo con borbottii e mugugni e, peggio, con i fatti. Arrivò addirittura a far interrompere una rappresentazione teatrale realizzata dai ragazzi perché era disturbata nella sua tranquillità. Ovviamente, non aveva le ansie pastorali di don Vincenzo!
Il terreno destinato ad orto fu utilizzato per costruire un salone, dove le attività di formazione e gioco venivano svolte con maggior agio per tutti.
L’accoglienza per le ragazze gli richiese un supplemento di impegno: fece costruire due aule e cercò delle suore che potessero occuparsi di loro. Cosa che realizzò ben presto. Insieme all’intrattenimento sano e alla catechesi voleva offrire alcune opportunità per la loro promozione umana: l’apprendimento di un lavoro e una istruzione scolastica di base.
E poiché in parrocchia c’era anche chi non aveva fisicamente un alloggio, mise a disposizione, gratuitamente, una piccola stanza della canonica a una vedova a cui era morto l’unico figlio seminarista, come pure accolse in canonica il padre della sua domestica. Piccoli flash, questi ultimi, che insieme a tanti altri semplici episodi simili, ci dimostrano come in una sequenza fotografica che per essere accoglienti basta avere un cuore aperto perché gli spazi fisici verranno come conseguenza.
Ultimo segno della sua ospitalità, anche se non nel tempo, è stata l’idea di pensare come avvicinare le giovani lontane. «Tutti vedono e deplorano» le condizioni in cui si trovano le giovani… scrisse nelle prime costituzioni, e dalla analisi di tale situazione dolorosa passò ai fatti. Non lui personalmente, ma attraverso delle «religiose nuove», libere dai classici segni canonici; volle che le ragazze, «nei luoghi più abbandonati nelle città e nelle campagne» potessero percepire e sperimentare l’accoglienza della Chiesa. Una accoglienza che, ancora una volta, prima di materializzarsi in un luogo fisico, si esprimeva nelle attitudini delle suore a cercare di mantenersi con loro «in continuo contatto… e con intera divozione».
Grazie di cuore degli articoli sempre belli e alcuni sembrano nuovi, oppure ascoltati ma forse dimenticati. Grazie perciò perché ravvivano la conoscenza del nostro santo e speriamo di mettere in pratica le sue esortazioni. comunità di Viadana.
Mentre leggevo queste righe mi sono venute in mente le parole del Papa: “Voglio una chiesa senza porte blindate!” L’ospitalità, la capacità di accoglienza é il frutto di un cuore aperto e libero, che si sa commuovere, che ha gli occhi aperti sul chi ha bisogno, che sa riconoscere le necessità…, di un cuore che per primo ha fatto l’esperienza dell’essere accolto da Dio. Chiediamo a san Vincenzo la grazia di vivere l’ospitalità e l’accoglienza con gesti concreti.